Il Consiglio di Stato, ha accolto le nostre tesi, riformando la sentenza del Tar Lazio, a favore di un'impresa seconda classificata in graduatoria, per l'affidamento del servizio di gestione dei parcheggi pubblici a pagamento.
Leggasi testualmente nella sentenza: "L’appellante ha infatti lamentato che la sentenza avrebbe erroneamente interpretato la funzione del PEF in uno alle clausole del disciplinare di gara, recependo acriticamente le deduzioni difensive delle resistenti, pervenendo così a esiti contraddittori (in quanto, nella misura in cui riconosce che il piano economico finanziario è stato redatto su un arco temporale più ampio, non ne avrebbe tuttavia tratto le logiche conseguenze, nel senso di dichiararne l’illegittimità perché calibrato includendo anche il periodo di rinnovo del contratto, meramente opzionale ed eventuale). In sintesi, l’appellante lamenta che la sentenza avrebbe inopinatamente “dequotato” la valenza del PEF, che consente al concorrente di dimostrare la concreta capacità di eseguire correttamente la prestazione per la sua durata attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico-finanziario di investimenti e connessa gestione, nonché del rendimento per il relativo periodo, e all’amministrazione concedente di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione, dandole modo di apprezzare la congruenza e l’affidabilità della sintesi finanziaria contenuta nell’offerta in senso stretto (Cons. Stato, V, 13 ottobre 2020, n. 6168; V, 26 maggio 2020, n. 3348; V, 2 settembre 2019, n. 6015; V, 13 aprile 2018, n. 2214). 5. Nel merito, deve premettersi che la sopra richiamata clausola del disciplinare di gara impone ai concorrenti di allegare all’offerta economica «a pena di esclusione» il piano economico-finanziario, «contenente un’analitica disamina delle componenti finanziarie ed economiche della gestione», e cioè «i ricavi e costi del personale, della sicurezza, costi e ricavi di gestione, etc. e dovrà evidenziare un saldo finale di gestione positivo ed un adeguato utile di impresa a favore del concessionario». In linea con quanto statuito dalla sentenza di primo grado, la clausola in questione va interpretata nel senso che l’esclusione è automatica nel solo caso di mancanza del piano, da considerarsi dunque un elemento essenziale dell’offerta, necessario per consentire all’amministrazione concedente di valutarne la sostenibilità economica, sulla base delle componenti positive e negative della gestione.
E’ peraltro causa di esclusione anche l’assenza di margine di gestione positivo e di un adeguato utile, derivante dalla somma algebrica delle poste economiche inerenti alla gestione del servizio affidato in concessione, ma a differenza del caso precedente, di carenza documentale, tale conseguenza può aversi non in via di automatismo, ma solo sulla base di una verifica in concreto sull’attendibilità delle componenti esposte nel piano. Tanto premesso, nel caso di specie una simile verifica è mancata.
Come infatti deduce l’appellante, l'aggiudicataria ha esposto un utile annuo considerando un costo per ammortamenti relativi agli investimenti calcolato su sei anni di concessione, laddove quella in contestazione ha durata quadriennale, mentre il biennio aggiuntivo è fatto oggetto dalla normativa di gara di opzione di rinnovo, e dunque è eventuale e come tale non può essere considerato certo. Ne segue che per questa parte il piano economico-finanziario dell’aggiudicataria non è attendibile, perché recante una potenziale sottostima di una voce di costo in grado di rendere la gestione in perdita, per il maggior costo derivante dall’ammortamento degli investimenti in un numero minore di anni, tale da erodere completamente l’utile esposto. Ciò nonostante il piano in questione non è stato oggetto di richiesta di giustificazioni da parte della stazione appaltante, il cui operato è dunque affetto da carente istruttoria in ordine ad un aspetto decisivo per quanto concerne la valutazione della sostenibilità economica della concessione da affidare. Non sono condivisibili invece le deduzioni difensive dell'appellata, la quale osserva che la parte non ammortizzata degli investimenti fatti per la concessione oggetto di controversia sarebbe comunque recuperata in seguito, nel corso dell’ordinario esercizio dell’impresa, e che l’ammortamento di sei anni esposto nel piano economico-finanziario è conforme a quello fiscale, previsto sul maggiore orizzonte temporale di sette anni. La deduzione così sintetizzata tende infatti a svalutare la funzione del piano nella procedura di affidamento in questione, che è quella di dimostrare la sostenibilità della concessione sulla base delle relative componenti economiche attive e positive rivenienti dalla sua gestione. Rispetto a tale finalità, che impone quindi di avere riguardo esclusivo all’orizzonte temporale della concessione, è dunque irrilevante che il concessionario possa successivamente recuperare i costi ammortizzati. Per valutare la sostenibilità della gestione, che a sua volta è garanzia di corretta esecuzione del contratto, è infatti necessario dimostrare il recupero nel periodo contrattualmente previsto. Ciò pacificamente non è avvenuto nel caso di specie, per cui in esecuzione della presente pronuncia di annullamento la stazione appaltante dovrà riesaminare il piano economico-finanziario dell’aggiudicataria e verificare se sulla base di un ammortamento quadriennale degli investimenti lo stesso espone un margine di gestione positivo ed un utile di impresa. 6. L’appello deve quindi essere accolto ed in riforma della sentenza impugnata il ricorso di primo grado della Si. Gi. Servizi va accolto nei termini poc’anzi esposti,