Il Consiglio di Stato ha accolto le nostre tesi a difesa di una Azienda sanitaria nei confronti di una struttura sanitaria privata accreditata con il SSN che aveva richiesto il pagamento di prestazioni riabilitative in assenza dell'indicazione del minutaggio nelle relative cartelle cliniche.
Leggasi testualmente nella sentenza: "Il D.lgs. n. 502/92 e s.m.i. ha previsto l'attivazione, da parte delle Aziende Unità Sanitarie Locali, di un sistema di monitoraggio e di controllo sulla qualità dell'assistenza e sull'appropriatezza delle prestazioni erogate dalle strutture accreditate.
La questione riguarda la fondatezza della determinazione della Commissione di Esperti la quale ha ritenuto inappropriate le prestazioni erogate dall’appellante nel 2010, in quanto nelle relative cartelle cliniche non era indicato il tempo minimo dedicato alle attività riabilitative. 2.-Per quanto attiene le molteplici censure il Collegio ritiene che vadano tutte rigettate. 3.-E’ da rigettare la doglianza con cui viene reiterata la censura concernente la violazione della riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. in materia di sanzioni amministrative. A parere dell’appellante, il legislatore non avrebbe rispettato tale riserva in quanto né le pertinenti leggi dello Stato, né quelle delle Regioni avrebbero sufficientemente precisato i presupposti ed il quantum delle sanzioni amministrative in materia di controlli esterni. In senso contrario va richiamato quanto già statuito da questa Sezione in analoghe controversie con le sentenze n. 823 e n. 824/2020, nonché n.1819 e n.1820/21, che hanno dichiarato la corretta qualificazione delle decurtazioni pecuniarie da intendersi come misure ascrivibili ad un ambito distinto da quello tracciato dalla legge n. 689 del 1981 e direttamente afferente al rapporto di natura sostanzialmente concessoria di cui all'art. 8 octies, d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 e ss. (“le regioni, in attuazione dell'atto di indirizzo e coordinamento, entro sessanta giorni determinano: a) le regole per l'esercizio della funzione di controllo esterno e per la risoluzione delle eventuali contestazioni, stabilendo le relative penalizzazioni […]”). Alla luce di questo dato interpretativo di portata sostanziale (rinvenibile anche nelle considerazioni svolte ai fini del riparto di giurisdizione dal Consiglio di Stato, sez. III, n. 7820/2020) appare superabile l’argomento nominalistico riferito al ricorrente impiego nei DCA n. 58/2009 e n. 40/2012 di forme lessicali echeggianti il concetto di “sanzione amministrativa” in senso proprio. Le penalità applicate dalla parte pubblica fanno tutt’uno con l'esercizio del potere autoritativo di programmazione sanitaria espresso attraverso la definizione del sistema dei controlli sull'attività sanitaria e dei relativi criteri operativi, tanto vero che la struttura accreditata, per sottrarsi alle "sanzioni" applicate, è tenuta ineludibilmente a contestare la legittimità dell'esplicazione degli specifici poteri di vigilanza e controllo sulla correttezza della gestione. Dunque, la correlazione tra potere di vigilanza e potere sanzionatorio rende, per un verso, il provvedimento sanzionatorio ascrivibile alla materia dei servizi pubblici, risultando la penalità direttamente funzionale alla tutela dell'interesse pubblico al corretto espletamento del servizio e non al mero ripristino della legalità violata; per altro verso, dal punto di vista del soggetto destinatario della sanzione, detta correlazione determina un intreccio di diritti soggettivi e di essi legittimi che rende compatibile l'affermazione della giurisdizione del G.A. al quadro delineato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204/2004 (laddove la qualificazione in termini di sanzione amministrativa motiverebbe l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario ex art. 22 l. n. 689/1981). La riepilogata qualificazione ha trovato l’avallo anche delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (si vedano le pronunce n. 18168/2017 e n. 23540/2019), secondo le quali il modello di controllo strutturato dai DM del 2009 e del 2012 manifesta una “totale incompatibilità giuridica con lo schema di principio che regge la materia delle sanzioni amministrative pecuniarie secondo la L. n. 689 del 1981” (Cass., S.U. n. 23540/2019) e pone capo a penalità patrimoniali (impropriamente definite “sanzioni” nei Decreti 2009 e 2012) direttamente funzionali alla tutela dell'interesse pubblico al corretto espletamento del serviziosanità (così Cass. S.U. n. 18168/2017, che fa richiamo all'applicazione delle penali nella materia delle concessioni di pubblico servizio: v. Cass. S.U. n. 12111/2013). 2.7- Cade, conseguentemente, alla luce delle testé illustrate considerazioni, tutto il costrutto argomentativo articolato dalla ricorrente in merito ai limiti che la norma regolamentare integrativa del precetto primario deve osservare per potersi reputare effettivamente rispettosa del fondamentale parametro di legalità imposto dall'art. 1, comma 1, L. 689 del 1981, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale. 4.- Priva di pregio è anche la censura circa l’asserita legittimità delle note dell’ASL con le quali si dispone la compensazione parziale, secondo la prospetta tesi che le note impugnate con i motivi aggiunti avrebbero dovuto essere considerate come atti conclusivi del procedimento e per tale motivo avrebbero dovuto assumere la forma dell’ordinanza ingiunzione ex art. 18 L. 689/81 e dell’art. 3, L. 241/90. In realtà l’attività sanzionatoria dell’ASL si è fondata legittimamente sul presupposto normativo di cui all’art. 8-octies del d.lgs. 502/92 e la normativa richiamata da controparte è inapplicabile al caso di specie in quanto trova applicazione. 5.-In ordine al quinto motivo di ricorso, il collegio rileva che in materia di sanzioni irrogate a seguito di controlli effettuati sulla regolarità delle prestazioni rese dalle strutture accreditate, si è già pronunciato il Consiglio di Stato che, con la sentenza numero 3190/2015, sezione III, ha affermato la non perentorietà del termine previsto a favore dell’amministrazione regionale per l’applicazione delle suddette sanzioni. E va pure considerato che l’azienda, tenuto conto della contestazione effettuata dalla società appellante e dell’attivazione della procedura di nomina dellacommissione di esperti, ha sospeso correttamente il recupero delle somme sino all’esito della relazione definitiva degli esperti. Pertanto, il comportamento dell’ASL è coerente con le previsioni con l’art.1 par.3.5 del DCA n.58/2009 il quale prevede espressamente che “in caso di contenzioso in atto, il saldo sarà corrisposto dopo la risoluzione del contenzioso stesso”. 6.- Anche sulla questione del minutaggio la tesi dell’appellante è infondata, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale dal quale il collegio non ha motivo di discostarsi. Tale problematica è stata, infatti, già esaminata dalla Sezione III del Consiglio di Stato con sentenza n.9407/2013.
Trattandosi, quindi, di un elemento essenziale la mancata indicazione del minutaggio non può in alcun modo essere surrogata da altri elementi, quali i programmi riabilitativi presenti nella cartella clinica, non essendo tale elemento in grado di dimostrare con altrettanto precisione e certezza l'effettiva esecuzione della prestazione per la durata minima richiesta. La dedotta circostanza che in passato l'amministrazione avrebbe tollerato la mancata indicazione del minutaggio è irrilevante, in quanto la suddetta indicazione risulta essere obbligatoria alla luce della normativa richiamata nella citata sentenza n.9047/2013".