Il Consiglio di Stato ha respinto dell'appello del promotore a cui era stata revocata dal Comune, da noi difeso l'aggiudicazione definitiva di un project financing e la delibera originaria che approvava il progetto e ne dichiarava la fattibilità ed il pubblico interesse, accogliendo le ns. tesi.

Leggasi testualmente nella sentenza del Consiglio di Stato: "Nel merito, per il Comune l’aggiudicazione definitiva della procedura di gara non attribuiva all'appellane alcun diritto perfetto alla stipulazione del contratto di concessione, bensì solo un’aspettativa qualificata, che come tale ben poteva essere travolta da una sopravvenuta determinazione dell’Amministrazione di revocare in toto la procedura di gara, a seguito della revoca della pregressa dichiarazione di pubblico interesse del progetto.

Le motivazioni di tale revoca consistono nell’illegittima fissazione da parte del promotore di tariffe per i servizi cimiteriali in violazione dell’articolo 20 del Regolamento di polizia mortuaria del Comune, nell’insostenibilità del PEF, nell’errata indicazione negli atti di gara del valore della concessione in violazione dell’art. 167 d.lgs. 50/2016 e nell’illegittimità dell’art. 21, commi 7 e 8, della bozza di convenzione redatta dal promotore nella parte in cui trasferisce al concedente comunei il rischio della mancata vendita dei loculi realizzati e rimasti invenduti, snaturando completamente, a parere del Comune, l’istituto del project e della concessione con il venir meno del c.d. “rischio operativo” in capo al concessionario, prevedendo a fine concessione un rinnovo di cinque anni in caso di opere invendute e, alla nuova scadenza, l’obbligo di riacquisto da parte del Comune dei loculi e delle cappelle invendute, in violazione dell’art. 2, comma 3 del disciplinare di gara e dell’art. 3, comma 1, lett. zz) del d.lgs. 50/2016. Tale clausola sarebbe, a parere del Comune, in netto contrasto con l’originaria delibera di approvazione della proposta di project (cfr. delibera di G.C. n. 306/2017), nella quale si dava atto dell’approvazione “….senza oneri finanziari diretti o riflessi a carico del bilancio comunale”.

La revoca di tutti gli atti di gara, dunque, sarebbe un atto dovuto, come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata. Inoltre, lo stesso bando di gara e il disciplinare, accettati dall’appellante, avevano previsto la facoltà dell’Ente di revocare l’aggiudicazione definitiva a suo insindacabile giudizio, con espressa rinuncia del concorrente ad ogni pretesa economica in caso di revoca dell’aggiudicazione (cfr., in particolare, l’art. 27 del disciplinare di gara).

Nel merito, l’appello è infondato. Con riferimento alle prime due censure dedotte, con cui l'appellante impugna la sentenza nella parte in cui ha ritenuto indennizzabili, ai sensi dell’art. 21 -quinquies l. n. 241/90, le sole spese vive sostenute a partire dall’atto di aggiudicazione sino alla revoca, senza comprendere le spese sostenute per la progettazione, contestando, altresì, la sussistenza di una propria condotta colpevole e, di conseguenza, chiedendo la corresponsione di un indennizzo integrale e non ridotto, deve, evidenziarsi come la sentenza abbia, invece, correttamente applicato la normativa in materia e, pertanto, nessun indennizzo spetta all’appellante ex art. 21 quinquies l. n. 241/90, atteso che, come statuito da questo Consiglio in una fattispecie speculare alla presente, in cui il motivo della revoca dell’aggiudicazione definitiva e dell’intera gara coincideva con uno dei tanti motivi della revoca posta in essere nella fattispecie in questione, e cioè nell’errata indicazione negli atti di gara del valore della concessione in violazione dell’art. 167 d.lgs. n. 50/16, nella disciplina del project financing l’obbligo di indennizzo ex art. 21 quinquies l. n. 241/90 risulta cedevole rispetto alla testuale disciplina differenziata dettata dall’art. 183, commi 12 e 15, del d.lgs. n. 50/2016, il quale riconosce al promotore il diritto all’indennizzo delle spese sostenute per la procedura solo ove il promotore non risulti aggiudicatario della gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7930).

 Inoltre, come risulta anche dalla determinazione di revoca dell’aggiudicazione, lo stesso bando di gara e il disciplinare, accettati dall’appellante, avevano previsto la facoltà dell’Ente di revocare l’aggiudicazione definitiva con espressa rinuncia del concorrente ad ogni pretesa economica in caso di revoca dell’aggiudicazione (cfr., in particolare, l’art. 27 del disciplinare di gara). Anche i motivi dal terzo al sesto, che si trattano unitariamente in ragione della stretta connessione fra gli stessi, sono infondati. Con gli stessi l’appellante ha dedotto, sostanzialmente, l’elusione del precedente giudicato per asserito mancato “riassetto conservativo” della procedura, la nullità ex art. 21 septies l. n. 241/90 della delibera di giunta di revoca della fattibilità della proposta ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241/90, nonché l’insussistenza delle ragioni della revoca.

Deve osservarsi, in proposito, che il potere di revoca di cui all’art. 21-quinquies della l. n. 241/1990 può contemplare tre presupposti fra loro alternativi: i sopravvenuti motivi di pubblico interesse, il mutamento della situazione di fatto, e la nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. ius poenitendi). In particolare, nel caso di specie l’Amministrazione ha esercitato il potere di revoca sulla base del terzo presupposto, di natura squisitamente discrezionale e di particolare ampiezza, esercitabile in forza di una nuova e diversa valutazione dell'interesse pubblico. Ed invero, per il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, è ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di revoca che si fonda su “una nuova valutazione dell'interesse pubblico in virtù dell'ampia discrezionalità di cui gode l'Amministrazione nell'esercizio dello ius poenitendi” (cfr. Cons. Stato, V, 24 agosto 2023, n. 7927). Nel caso di specie, i provvedimenti di revoca oggetto di impugnazione, hanno indicato dettagliatamente e in maniera approfondita le ragioni sia di fatto che giuridiche a sostegno delle determinazioni di revoca della dichiarazione di interesse pubblico e della successiva aggiudicazione, nonché esaminato e confutato specificamente le argomentazioni esposte in sede procedimentale dall’appellante.

Ed invero, il Comune ha rilevato, quali ragioni della revoca: 1) l’illegittima fissazione da parte dell'appellante di tariffe per i servizi cimiteriali in violazione dell’articolo 20 del regolamento di polizia mortuaria del comune; 2) l’insostenibilità del PEF; 3) l’errata indicazione negli atti di gara del valore della concessione in violazione dell’art. 167 d.lgs. n. 50/2016; 4) l’illegittimità dell’art. 21, commi 7 e 8, della bozza di convenzione redatta dal promotore nella parte in cui trasferisce al concedente comune il rischio della mancata vendita dei loculi realizzati e rimasti invenduti, snaturando completamente l’istituto del project financing e della concessione con il venir meno del c.d. “rischio operativo” in capo al concessionario mediante la previsione a fine concessione di un rinnovo di cinque anni in caso di opere invendute e, alla nuova scadenza, dell’obbligo di riacquisto da parte del Comune dei loculi e delle cappelle invendute, in violazione dell’art. 2, comma 3, del disciplinare di gara e dell’art. 3, comma 1, lett. zz), del d.lgs. n. 50/2016. In particolare, come legittimamente ritenuto dal Comune, tale ultima clausola è in netto contrasto con l’originaria delibera di approvazione della proposta di project (cfr. delibera di G.C. n. 306/2017), nella quale si dava atto dell’approvazione “….senza oneri finanziari diretti o riflessi a carico del bilancio comunale”. In presenza di tali ragioni, la revoca è da ritenersi esercitata del tutto legittimamente, anzi deve ritenersi un atto dovuto, come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata. Inoltre, lo stesso bando di gara e il disciplinare, accettati dall’appellante, avevano previsto la facoltà dell’Ente di revocare l’aggiudicazione definitiva a suo insindacabile giudizio, con espressa rinuncia del concorrente ad ogni pretesa economica in caso di revoca dell’aggiudicazione (cfr., in particolare, l’art. 27 del disciplinare di gara). Né, in presenza di tali motivazioni, l’amministrazione avrebbe potuto modificare le condizioni dell’operazione di partenariato, mediante il riequilibrio del PEF, come risulta dalla delibera impugnata, che si intende integralmente richiamata, e che richiama a sua volta, per relationem, la nota del Rup del 31 gennaio 2023 di riscontro alle osservazioni del promotore, che costituisce parte integrante della stessa delibera di giunta, alla luce della quale non può di certo sostenersi che il Comune abbia omesso di valutare la possibilità di un “riassetto conservativo” del progetto, come correttamente statuito dalla sentenza appellata.

Inoltre, non può in alcun modo sostenersi che la durata della procedura sia imputabile al Comune, e che, di conseguenza, sia sorto un legittimo affidamento alla positiva conclusione della stessa in capo all’appellante, atteso che era noto all’appellante medesimo che la necessità della variante urbanistica al PRG è emersa in conseguenza dell’erronea indicazione nel progetto del promotore della destinazione urbanistica delle aree da destinare all’ampliamento del cimitero, come si evince dall’estratto del PEF presentato dall’appellante (versato in atti). Ed invero, essendo emerso dall’esame del progetto indicato dal promotore che lo stesso ricadeva su aree con destinazione urbanistica incompatibile con la realizzazione del cimitero, il Comune ha dovuto presentare una variante al PRG che ha richiesto tempi lunghi per l’approvazione da parte della Regione e, nelle more dell’approvazione della variante urbanistica al PRG, le intervenute necessità sorte durante il periodo covid di tumulare molte persone e, pertanto, di realizzare blocchi di prefabbricati sulle aree di completamento del cimitero, hanno svuotato di contenuto il progetto, con incontestabile mutamento dell’oggetto della proposta.

Con riferimento, infine, alla porzione di appello (motivi VII, VIII e IX) dichiarata inammissibile per superamento dei limiti dimensionali in accoglimento dell’eccezione del Comune, la stessa era, comunque, infondata, atteso che la giunta comunale era certamente competente a revocare la delibera di dichiarazione di pubblico interesse della proposta originaria, sia per il principio del contrarius actus, avendo adottato la dichiarazione di pubblico interesse medesima, sia per le previsioni dell’art. 48, comma 2, del TUEL sulla competenza residuale, per le quali la giunta compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell'articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia o degli organi di decentramento. Riguardo al rischio operativo si rinvia alle precedenti considerazioni, ribadendo che la revoca è del tutto legittima in quanto nessun onere finanziario diretto o indiretto doveva essere previsto a carico del bilancio comunale (cfr. delibera di G.C. n. 306/2017), dovendosi il concessionario assumere il rischio operativo, come in ogni operazione di partenariato pubblico-privato. In relazione, infine, all’ammontare delle tariffe, sono perfettamente condivisibili le statuizioni della sentenza appellata, secondo cui: “La previsione da parte del promotore di tariffe, per l’acquisto della concessione sui loculi, di importo ben maggiore rispetto a quelle stabilite dal vigente Regolamento di polizia mortuaria, integra una valida ragione di legittimità della revoca, in quanto tariffe così elevate, e pertanto lesive degli interessi della comunità, sono state unilateralmente indicate dalla ricorrente senza copertura normativa e procedimentale.