Il Tar Lazio ha accolto le nostre tesi a difesa di un Comune, respingendo il ricorso di una società emittente televisiva priva del permesso di costruire per mantenere tralicci ed antenne televisive, in una zona plurivincolata.
Leggasi testualmente nella sentenza del Tar Lazio: "Con ricorso ritualmente notificato e depositato parte ricorrente, che esercita attività di radiodiffusione, ha impugnato gli atti indicati in epigrafe, chiedendone
l’annullamento. Con essi, il Comune ha ordinato la demolizione di manufatti necessari alla trasmissione del segnale, costituiti per lo più da “tralicci metallici in base di cemento armato sui quali sono presenti parabole e varie antenne”.
A fondamento degli atti, l’amministrazione ha posto la natura abusiva di essi sul piano edilizio, ambientale ed urbanistico. Le opere, che sorgono in zona soggetta a vincolo paesaggistico e sismico, non sono state infatti assentite dal necessario permesso di costruire, né precedute dalla autorizzazione paesaggistica e dal nulla osta concernente il profilo sismico.
Il ricorso è manifestamente infondato, sicché, per ragioni di economia processuale, ne può essere affrontato il merito, senza soffermarsi sul profilo di inammissibilità dedotto in causa dal Comune.
Fattispecie del tutto analoghe sono infatti già state decise ripetutamente, sia da questo Tribunale, sia dal Consiglio di Stato, nel senso della infondatezza dei ricorsi
(CDS. sez. VI, n. 956/19; Tar Lazio, sez. II quater, nn. 9036 del 2017 e 6294 del 2016; id. sez. II ter, 11402 del 2014).
Anche tali casi si riferiscono a tralicci che fungono da base per antenne, realizzati illo tempore (in particolare, la più recente tra le pronunce appena menzionate ha modo di precisare che la fattispecie concerneva la realizzazione di un traliccio di tale natura, risalente al 1976, ovvero più o meno alla data dei manufatti per cui è oggi causa: CDS cit.).
Va premesso che l’abusività dell’opera è palese anche nel caso odierno. È pacifico, infatti, che essa non sia assistita da autorizzazione paesistica e nulla osta per la sismicità, nonostante questo Tribunale (sentenza n. 9036/17 cit.) abbia già posto in luce che il vincolo paesaggistico risale al DM 24 aprile 1954, certamente anteriore alla realizzazione del traliccio, e quello sismico all’aprile del 1976. Né vi è contestazione da parte della ricorrente in ordine alla insistenza sul luogo anche del vincolo idrogeologico.
È ovvio che tali autonomi profili (non oggetto di specifica doglianza) sarebbero sufficienti a sorreggere gli atti impugnati, anche se non sussistesse l’ulteriore carenza del titolo edilizio.
Ma, anche per tale verso, parte ricorrente si limita a richiamare l’autorizzazione n. 20 del 1995 del Comune, che consente il potenziamento di un impianto fino alla realizzazione di un progetto definitivo, con obbligo del gestore di rimuoverlo “su semplice richiesta dell’amministrazione”. È evidente che tale atto non abbia i requisiti né di forma, né di sostanza propri del permesso di costruire.
Alla abusività dell’opera consegue, secondo ormai pacifica giurisprudenza (CDS, Ad. Plen. n. 9 del 2017), l’adozione di un atto dovuto e a contenuto vincolato da parte della amministrazione, che ha l’obbligo di reprimere l’illecito, senza dover offrire altra motivazione che ecceda la descrizione dei luoghi, anche a fronte di fatti risalenti nel tempo. La natura vincolata dell’atto rende altresì inapplicabile l’art. 7 della legge n. 241 del 1990, secondo giurisprudenza altrettanto consolidata.
Da tali premesse viene l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso: 1-Parte ricorrente sostiene che nel corso di 40 anni il Comune avrebbe manifestato, con atti o tacitamente, il proprio assenso alla conduzione dell’impianto, persino consentendone il trasferimento dal centro storico all’attuale sito. Sarebbe perciò contraddittorio ordinarne ora la demolizione. Tuttavia, il solo atto menzionato da parte ricorrente è l’autorizzazione già citata, del quale si già è detto.
Ed è comunque dirimente osservare che la conformità o no di un’opera edilizia dipende esclusivamente dalla legge, ed è perciò sottratta alla disponibilità della stessa amministrazione comunale, che non può pertanto superare l’abusività con condotte diverse dal rilascio del titolo abilitativo o sanante previsto indicato dall’ordinamento.
Quanto, poi, alla contestazione che solo con il T.U. sull’edilizia del 2001 sarebbe stato richiesto il permesso di costruire per le opere in oggetto, il Tribunale osserva che essa, anche se fondata, non varrebbe a superare l’ineludibile ostacolo costituito dal difetto di autorizzazione paesaggistica e di nulla osta sismico. In ogni caso, la esecuzione di un traliccio su base in cemento armato, quale piattaforma delle antenne, opera una trasformazione permanente del suolo, tale che la licenza edilizia sarebbe stata necessaria anche negli anni 70’ (la giurisprudenza amministrativa a quei tempi escludeva dalla necessità del titolo edilizio la sola installazione di antenne equiparabili a quelle casalinghe, CDS n. 594 del 1988, e comunque ancorate direttamente al suolo: CDS n. 642 del 1986).
2-Parte ricorrente sostiene che, in violazione di legge, i provvedimenti impugnati sarebbero una mera “riedizione di atti che hanno già determinato soccombenze giudiziarie” del Comune, ma non indica alcuno di tali provvedimenti. Sarebbe stato onere della parte esibire le sentenze definitive alle quali si è riferita, per eccepire la violazione del giudicato esterno. È chiaro, infatti, che al di là del presunto giudicato, l’argomento sarebbe del tutto privo di rilievo in causa. Inoltre, si è già osservato che il lungo tempo trascorso dai fatti non incide sulla legittimità dell’atto."