Oggetto del giudizio è la pretesa fatta valere dalla Procura regionale a carico dell’odierno convenuto per un errato trattamento sanitario ai danni di una paziente che avrebbe costretto la ASL di Roma, datrice di lavoro del prevenuto, all’esborso di € 100.000,00, per tacitare, transattivamente, le pretese di risarcimento danni formulate dapprima dalla paziente medesima e, dopo il suo decesso, dai suoi eredi, quale franchigia prevista dalla polizza di responsabilità civile stipulata da detta Amministrazione. 

In particolare, il “fatto dannoso” di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 20 del 14.1.1994 coincide con l’esborso del pubblico denaro che, nel caso di specie, è stato previsto nella Delibera con la quale l’Amministrazione ha de-finito il sinistro a stralcio e transazione di tutti i danni subiti per € 480.000,00, successivamente attuata per la franchigia di € 100.000,00 con il mandato di pagamento del 4.8.2016.

La Asl Roma, a seguito della denuncia del sinistro ad opera della paziente, concludeva con gli eredi di questa una transazione a tacitazione di ogni pretesa per la somma complessiva di € 480.000,00, di cui € 100.000,00 rimanevano a carico della Amministrazione in virtù della franchigia contenuta nel contratto di assicurazione. 


Ebbene dai citati documenti emerge una responsabilità per colpa grave del convenuto che, in occasione della visita presso la Casa della Salute, non solo non ha inviato la paziente presso una struttura sanitaria maggiormente idonea a prestare cure adeguate, ma non ha disposto, né svolto, ulteriori accertamenti, necessari nel caso di specie, quali la visita dermatologica urgente, l’asportazione chirurgica urgente e l’esame isto-logico, che avrebbero condotto al tempestivo ri-conoscimento del melanoma a carico della cute della parete addominale.


La Corte dei Conti, dopo aver ammesso l’intervento della Azienda Usl Roma, con condanna del medico al pagamento delle spese di lite, lo ha condannato anche alla restituzione della somma di euro 50.000,00.