La questione portata all'attenzione del Tar è l'ordinanza di demolizione di una tettoia: il Tar ha accolto le tesi del nostro studio, a difesa di un Comune, ed ha ritenuto legittima l'ordinanza di demolizione.
Leggasi testualmente nella sentenza del Tar: "Nel merito, comunque, la pretesa fatta valere dai ricorrenti risulta infondata.
Innanzitutto, va disattesa la qualificazione dell’intervento in contestazione come meramente pertinenziale. La giurisprudenza in materia, infatti, ha da tempo chiarito che la nozione in urbanistica o edilizia è differente rispetto alla nozione civilistica, per cui un’opera è qualificabile in tali termini solo se “priva di autonoma destinazione”, essendo strettamente ed esclusivamente “funzionale” all’edificio principale, priva di impatto urbanistico, di ridotte dimensioni, per cui per le sue caratteristiche non altera in modo significativo l’assetto del territorio. Per quanto riguarda specificamente in particolare le tettoie, la giurisprudenza ha precisato che il regime da applicare varia a seconda che la si consideri un manufatto autonomo o una mera pertinenza, rientrando solo nel primo caso tra le opere di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3 co. 1 lett. e) DPR 380/2001, che richiedono il permesso di costruire prescritto dall’art. 10 del DPR - mentre è da escludersi nel caso in cui il manufatto sia privo di carattere di autonoma utilizzabilità, sia dotato di volume modesto rispetto all’edificio principale, abbia natura accessoria rispetto all’edificio principale, essendo preordinato a soddisfare un’oggettiva esigenza di quest’ultimo (TAR Campania, n. 732/2017 e n. 4488/2011).
Indipendentemente dal carattere pertinenziale, è stato ritenuto che costituisca “nuova opera” ove si realizzino nuovi elementi ed impianti, si modifichi la sagoma o il prospetto del fabbricato (TAR Campania, n. 84/2011).
In tale prospettiva la giurisprudenza ritiene che debba essere qualificata come nuova costruzione, non pertinenziale, una tettoia che abbia i “caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato sez. IV, 2/3/2018, n.1309). Rientrano invece nell’edilizia libera quelle tettoie che per forma e dimensioni abbiano mera finalità di arredo e protezione dalle intemperie (Ex multis, TAR, Napoli, sez. VIII, sent. n. 789/2013; TAR Campania, Salerno, sez. I, sent. n. 17/2016).
Alla luce di tali principi il Collegio ritiene corretta la qualificazione operata dal Comune, che ha ritenuto che il manufatto in contestazione, per caratteristiche intrinseche (tipologia diversa da “struttura leggera”), modalità costruttive (è stata realizzata “con orditura in legno poggiante su quattro pilastri in legno inglobati a terra mediante rivestimento in calcestruzzo”), dimensioni (6m x 5 m con altezza variabile da 3,50m a 3,20m), funzioni (è suscettibile di autonoma utilizzazione) e impatto sull’area circostante (ha determinato un’alterazione dello stato dei luoghi “rilevante”), caratterizzato da stabilità e permanenza, comporta una trasformazione definitiva del territorio per cui deve essere piuttosto qualificata come “nuova costruzione”, realizzabile solo previo rilascio del permesso di costruire, anziché con semplice DIA.
Ne consegue che risulta legittimo il provvedimento demolitorio adottato dal Comune, in quanto “sanzione” prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 proprio per il caso di nuove opere realizzate senza permesso di costruire.
Né a tale conclusione osta la “funzionalizzazione” dell’opera invocata dai ricorrenti, che sostengono che si tratta di un’opera necessaria per migliorare l’accessibilità dell’immobile da parte della ricorrente: a tal fine non è sufficiente rappresentare in questa sede in modo generico le difficoltà di mobilità della ricorrente per dimostrare che l’opera rientra nell’edilizia libera oppure soggetta a semplice DIA, anziché a permesso di costruire, ai sensi degli artt. 71 e seguenti del DPR 380/2001, con conseguente inapplicabilità della sanzione demolitoria.
Tali elementi, per come sono stati prospettati, non sono sufficienti a fornirne una convincente dimostrazione della sussumibilità dell’opera tra quelle contemplate dagli art. 71 e seguenti del DPR 380/2001 (anzi, dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio, la tettoia in parola pare avere destinazione “pluriuso”) sicché non si può ritenere soddisfatto “l’onere della prova” dell’erroneità della qualificazione giuridica operata dal Comune (cfr. Cons. di Stato, sez. V, sent. n. 4997/2013 nel senso che l’esistenza delle condizioni necessarie per qualificare l’intervento come meramente pertinenziale anziché come “nuova costruzione” deve essere data dal ricorrente che contesta la qualificazione giuridica operata dal Comune).
Ne consegue l’inconducenza della censura con cui i ricorrenti lamentano l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, dato che, secondo l’ormai pacifico orientamento giurisprudenziale, l’art. 7 della Legge n. 241/90 non si applica ai provvedimenti repressivi degli abusi edilizi. Ed in ogni caso, la violazione della predetta disposizione non avrebbe potuto condurre all’annullamento dell’atto impugnato, stante l’art. 21 octies della legge n. 241/90, dato che l’esito del procedimento non avrebbe comunque potuto essere modificato dalla partecipazione procedimentale degli interessati.
Quanto infine alla prospettata disparità di trattamento, è appena il caso di ricordare, che trattandosi di attività vincolata, l’illegittima tolleranza degli interventi abusivi realizzati da vicini protratta nel tempo dal Comune comporta esclusivamente l’insorgere di responsabilità a diverso titolo in capo ai funzionari responsabili che abbiano omesso l’adozione dei provvedimenti repressivi nonché l’obbligo di questi di intervenire al fine di assicurare il ripristino della legalità violata.
In conclusione il ricorso va respinto.